La lingua dell’altro. Alcune annotazioni su Jacques Derrida
Abstract
È diffusa e direttamente rivendicata dall’autore la constatazione che nella seconda metà della sua vita Jacques Derrida abbia indirizzato il suo pensiero a questioni etico-politiche. Ciononostante può essere rilevato un fil rouge che taglia trasversalmente gran parte della sua produzione e che si concentra attorno ai due concetti di linguaggio e alterità. A partire dalla celebre proposizione secondo la quale ‘il n’y a pas des hors-texte’, il contributo mira a mostrare come la pratica della disseminazione conduca alla dissoluzione dell’idea di identità personale, tanto quanto ad un rafforzamento della necessità dell’‘altro’. Quando una parola significa qualcosa, proprio il fatto che sia portatrice di un significato la aliena inesorabilmente dallo stesso, esponendola al rischio dell’interpretazione. Ogni discorso, infatti, è variamente espropriato: dal pubblico che, leggendolo, lo fa proprio, ma anche dall’autore, che lo ruba alla lingua.
La problematicità della relazione individuo-lingua, deflagra nella traduzione, impossibile se intesa in senso radicale: rintracciando il principio primo nella differenza, différance originaria non dialettizzabile, Derrida sostanzialmente afferma che si parla solo tramite nomi propri, ciascuna parola essendo intrisa di una specificità non riproducibile. Ma allora, è solo attraverso l’esercizio di un movimento di accoglienza, solo ospitando la diversità (lo straniero, l’‘altro’) il soggetto potrà definirsi come tale. Ciò che ultimamente emerge dal contributo è un’ulteriore impossibilità, di prescindere dalle connessioni: nella lingua così come nei rapporti interpersonali, con il dire ‘io’ viene sempre e comunque implicato il valore dell’‘altro’. Impossibile è, dunque, de-finire, delineare l’orizzonte di senso del linguaggio, ma altrettanto non plausibile risulta essere l’arroganza di voglia rimanere sordo alle parole di qualsiasi altro.Downloads
References
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